venerdì 26 giugno 2020

Bianca Milesi: arte e patria nella Milano risorgimentale





A partire dalla misteriosa e quasi dimenticata Stele Traversa, opera del Canova, che ricorda Antonietta Milesi Gabrini, si ripercorrono le vite complesse e travagliate di alcuni protagonisti dell'età risorgimentale.
Si inizia con  Bianca Milesi che dà il titolo alla presente opera: è stata una pittrice, una patriota, una pedagogista ante litteram, ed è vissuta fra Milano, Roma e Parigi in un momento difficile per la penisola italiana e per le sorti del continente europeo. Si è destreggiata fra restaurazione e moti carbonari, mettendo in luce la sua continua voglia di cambiare e sperimentare. Alla ricerca di un equilibrio che troverà solamente nella più aperta e cosmopolita città di Parigi.
La madre, Elena Viscontini Milesi, musa del poeta Carlo Porta, animatrice di un salotto culturale nella Milano napoleonica, fu un sicuro esempio per le figlie che ne seguirono le orme come mecenati di artisti e nel profondo interesse e coinvolgimento nella vita politica milanese.
La sorella Francesca Traversi, amica degli artisti Francesco Hayez, Pompeo Marchesi e Pelagio Palagi, fedele punto di riferimento per gli esuli fratelli Giacomo e Filippo Ciani, assieme al marito avvocato Giovanni Traversi appoggiò la causa patriottica. La loro casa milanese e le ville di Desio, Meda e Sannazzaro de' Burgondi divennero dei centri importanti per letterati, artisti e cospiratori.
Luigia Pisani Dossi lasciata per motivi di forza maggiore dal marito esule carbonaro, dovette gestire  da sola una  numerosa famiglia composta da mazziniani e patrioti.
Le sorelle Gabrini, celeberrime grazie al quadro di Hayez, nascondono un vissuto particolare, sono due personaggi fino ad oggi muti che non hanno trovato spazio nelle pagine della storia risorgimentale, purtroppo figlia della retorica e del banale revival patriottico di fine Ottocento.
Maddalena Marliani Bignami, "pallida e infelice persona", musa ispiratrice di Ugo Foscolo; il fratello, il compositore di musica Marco Aurelio Marliani, che dopo un lungo soggiorno parigino, ritornò in Italia per dedicarsi alla causa patriottica. E, difendendo tali ideali, morì a Bologna nel maggio 1849.
Il barone Ercole Dembowski, fu un felice studioso di astronomia, ma lo sfortunato marito della baronessa Enrichetta Bellelli di Napoli; la loro figlia Matilde Dembowski, vittima di un matrimonio altrettanto infelice, tentò di rifarsi una vita come amante del compositore e critico musicale Gian Andrea Mazzucato.




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lunedì 1 febbraio 2016

Echi canoviani






Quando si prende in considerazione un personaggio celebre si ha la convinzione che sia stato ormai detto e scritto tutto. In realtà, avvicinandosi a personaggi del calibro di Antonio Canova, ci si rende conto che spesso il mito ha avuto la meglio sulla persona e che molto è stato tralasciato o male interpretato. 
Accanto al Canova sono vissuti molti personaggi, fino ad oggi ritenuti secondari, che gli hanno permesso di diventare quel celebre artista che oggi noi tutti conosciamo ed apprezziamo.
Senza la famiglia, gli affetti, gli amici però a poco sarebbero servite le sole capacità dello scultore. Canova non aveva un carattere forte, non era una persona decisa e sicura di sé; ecco, quindi, l'estrema importanza che ebbero i suoi amici e i suoi collaboratore nello spronarlo a continuare nel suo percorso artistico.
Ad iniziare dalla madre, Angela Zardo, molto lontana dall'immagine della donna snaturata che lo abbandona a soli 4 anni in casa del nonno per passare a seconde nozze. In realtà Anzoletta fu una madre affettuosa che mantenne un profondo rapporto con il figlio attraverso un costante scambio epistolare. E Canova, non potendola avere vicino a sè a Roma, si preoccuperà di farle vivere una serena vecchiaia.
Minette Alavoine de Bergue, una franco-tedesca bella ed intelligente che incontra Canova a Firenze ed è quasi sul punto di lasciare un promesso sposo per convolare a nozze con lo scultore. Canova tergiversa e, a malincuore, abbandona i progetti matrimoniali. E Minette, come un personaggio delle fiabe, si adegua ed aspetta paziente che il promesso marito (un anziano generale spagnolo) concluda le sue guerre per poterla sposare.
Luigia Vaccolini Giuli, originaria di Ravenna, fu per 26 anni governante della casa romana del Canova, troppo preso dalla sua professione per poter gestire anche l'economia domestica. Pittrice dilettante, abile amministratrice, intelligente mediatrice fra i collezionisti e lo scultore stesso, si dimostrerà insostituibile amica, confidente e quasi una seconda madre. La sua morte, dopo una lunga malattia, farà cadere Canova in una profonda depressione.
Antonio D'Este, inseparabile amico e collaboratore. Pur avendo buone capacità come scultore, mise da parte la propria carriera per sostenere l'amministrazione dello studio canoviano. E, giunto in tarda età, si dedicherà alla stesura delle Memorie di Canova, una biografia precisa e completa che mette in luce l'uomo prima dell'artista. L'opera rimase manoscritta e venne ereditata dal figlio Giuseppe D'Este e dal pronipote Alessandro Pagliarini (noto come Alessandro D'Este, dal cognome che assunse in qualità di erede della famiglia materna). Quest'ultimo convinse a fatica l'editore Le Monnier di Firenze a portare il prezioso e monumentale manoscritto fino all'edizione a stampa; purtroppo dai progettati due volumi fu costretto a dimezzare l'opera. Una grave perdita considerando che il curatore aveva trascritto in un intero volume le lettere del Canova gelosamente raccolte dal bisnonno.
Giovanni Martino De Boni, pittore veneziano, fra i primi compagni del Canova all'Accademia veneziana, lo seguirà a Roma. Ebbe una vita lunga ma tormentata, prima a Venezia con una moglie bisbetica -novella Santippe- ed una figlia malata di tisi dalle quali fuggiva, quando possibile, con la scusa di viaggi di lavoro. Morte entrambe, compare Martin si trasferì in pianta stabile a Roma ai primi dell'Ottocento, cercando spesso l'aiuto economico del Canova. Nei successivi anni vivrà alla sua ombra, attestandosi come incisore delle celebri opere canoviane.

E così a seguire possiamo ripercorrere le vicende di altre figure che sembrano condannate nel dimenticatoio, fagocitate dalla grandezza e dalla fama del Canova: il maestro e quasi suocero Giovanni Volpato, i giovani Francesco Vancolani e Giovanni Bianchi che da Bassano tentano la fortuna a Roma, la sorella Marietta Sartori vittima di un marito violento che le rovinerà l'esistenza, il cugino Domenico Manera che da scapestrato e svogliato giovane entrerà a far parte del ristretto entourage romano.


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domenica 3 marzo 2013

Parochi




La storia ecclesiastica di Crespano è stata caratterizzata dalle più svariate figure di sacerdoti; prendendo spunto da un manoscritto di metà '800 dell'abate Canal- rimasto inedito e tramandatoci da una copia degli anni '30 dello scorso secolo, redatta da don Ferdinando Galzignan- sono stati rintracciati i documenti originali che servirono all'abate per il suo studio ed ampliati con altra copiosa documentazione conservata presso gli archivi di Venezia, Padova, Treviso e Vicenza.
I personaggi che si avvicendarono alla gestione delle chiese di Crespano fra XV e XVII secolo non brillarono certo per specchiata virtù; sta di fatto che le luci e le ombre di questi sacerdoti traspaiono chiaramente dalla lettura ed analisi degli atti ufficiali.

Don Ludovico Campana divenne parroco di Crespano a soli 18 anni quando non aveva ancora concluso la propria formazione sacerdotale e gestì la comunità religiosa attraverso delegati e sostituti per gran parte del suo mandato; l'inflessibile don Francesco Uguzzoni costrinse la comunità crespanese a 25 anni di contese, processi e cause per ottenere dai suoi parrocchiani il pagamento del quartese, la quarantesima parte del raccolto.
L'aristocratico Uriano Secreti di Monterubbiano arrivò in area veneta grazie ad importanti appoggi nella Serenissima ed ottenne grandi opportunità di carriera sfruttando l'amicizia con il vescovo di Padova e i suoi mecenati in area marchigiana; rimase nella diocesi padovana per quasi 30 anni per poi concludere la propria esistenza nella città di Fermo come primicerio della cattedrale.
L'asolano Francesco Pontino venne accusato di sollecitatio ad turpia nei confronti di alcune parrocchiane e rinchiuso nelle carceri della Santa Inquisizione di Padova per oltre 30 mesi; il suo tentativo di fuga, nel gennaio 1661, non andò a buon fine e di lui, dopo un processo lasciato nel massimo riserbo, si perdono le tracce negli atti ufficiali.
Bernardino Zanella da Castelcucco, abile amministratore delle fortune della propria famiglia, divenne prima rettore della chiesa di Enego quindi chiese licenza al vescovo di Padova per lasciare quei luoghi impervi e difficili e andare a reggere le chiese di Crespano. Scelta che in un primo momento gli sembrò la migliore e la meno impegnativa; ma cambiò ben presto opinione quando venne a contatto con le poco docili pecorelle della comunità crespanese!







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martedì 17 gennaio 2012


Nei primi decenni dell'Ottocento si iniziò a sentire l'esigenza di una via di comunicazione più rapida fra i vari paesi della Pedemontana del Grappa; già Antonio Canova nel 1820 si era reso conto della necessità di una strada che scavalcasse la valle del Lastego e si era rivolto all'ingegner Angelo Casarotti di Schio, progettista diventato famoso in quegli stessi anni grazie alla ricostruzione del ponte di Bassano, che riproponeva l'originario progetto palladiano. Si trattava di inserire, all'interno della Strada Molinetto, un troncone che unisse i due speroni divisori tra Fietta e Crespano ed evitasse il disagevole attraversamento della vallata o un lungo percorso più a sud. L'ing.Casarotti sembrava essere la persona più adatta per i suoi studi idraulici e per le numerose progettazioni di strade e ponti nel Vicentino e nel Padovano. Di lì a qualche anno il Canova morì, ma il suo disegno di collegare Bassano con Possagno venne ripreso dal fratellastro, monsignor Sartori Canova, che ne proseguiva l'attività di munifico mecenate del territorio pedemontano.


La valle del Lastego che si era venuta a creare a pochi metri dall'abitato crespanese era impervia e di difficile attraversamento; necessitava quindi di un ponte o di un'agevolazione, specie allora che si rendeva d'obbligo una via più rapida per raggiungere Possagno, patria del Fidia italico; monsignor Sartori Canova si fece promotore di questo ammodernamento dell'area, a partire dalla costruzione della Strada Molinetto, per seguire con il finanziamento di opere artistico-architettoniche, in particolar modo nei paesi di Possagno e Crespano.


Con un dispaccio dell'8 ottobre 1827 il Governo decise per la costruzione della Strada pedemontana nei due tronchi detti il Salto di Crespano e il Ponteggio di Possagno con spesa di Lire 59.971 e 49 centesimi, anticipate da monsignor Sartori Canova. Il successivo 14 gennaio l'appalto venne vinto dal crespanese Giovanni Collagusi mentre come supervisore dei lavori venne eletto Giovanni Zardo Fantolin, cugino di Canova, che si era reso famoso come capomastro nella costruzione del tempio canoviano e del Santuario del Covolo.


In una lettera datata 9 gennaio 1828 monsignor Sartori Canova tornava a patrocinare la causa del ponte chiedendo all'Imperial Regio Governo che venisse preposto alla direzione e sorveglianza dei lavori “l’Autor del progetto signor Ingegner Casarotti, o altro ingegnere destinato dalla Direzione delle pubbliche Costruzioni, ovvero il Signor Ingegner in Capo della Provincia di Treviso”. La sua richiesta venne presto esaudita e nell'arco di circa due anni i lavori vennero conclusi; si costruì così un ponte ad un unico arco, con una corda di 40 metri che ben presto venne equiparato ai rinomati ponti di Rialto a Venezia e di Castelvecchio a Verona.


L'inaugurazione ufficiale avvenne il 17 aprile 1830, alla presenza del viceré Ranieri d'Asburgo Lorena e della moglie Elisabetta di Savoia-Carignano. Durante la sua visita l'arciduca rimase colpito dalla grandiosità dell'opera e si congratulò con le autorità municipali ed il progettista che si era unito al corteo; pare che in questa circostanza, compiaciuto, abbia esclamato: "Quest'opera sfiderà il corso dei secoli!" Mai una profezia fu meno veritiera e funesta; infatti, dopo solo 15 giorni, domenica 2 maggio il ponte crollò disastrosamente, senza per fortuna mietere vittime. I materiali scadenti utilizzati durante i lavori avevano causato un dislocamento laterale ed il successivo crollo; seguirono accertamenti per appurare i reali responsabili di tale calamità, ma l'ing.Casarotti risultò non esserne il responsabile tanto che il suo primo progetto venne riconfermato per la ricostruzione del ponte.


Nell'estate 1831 il comune di Crespano approvò la riedificazione del ponte e nel successivo 1832 monsignor Sartori Canova tentò di affrettare i lavori stanziando altri 18 mila franchi, ma il suo progetto di concludere l'opera entro il mese di dicembre 1833 non andò in porto. L'appalto per i secondi lavori venne vinto dal veneziano Bartolomeo Aseo e da Carlo Bozzi detto Bravetti; la ricostruzione del ponte avvenne in modo singolare, mediante la disposizione sopra la centina, sorretta da una sola armatura a candele, di cassette di legno, collocate come una serie di conci, tutte riempite di terra e sabbia; dopo che la centina venne regolarizzata, furono levate ad una ad una tali cassette e sostituite con altrettanta muratura in cotto e così fino alla completa chiusura in chiave del volto.


I lavori di ricostruzione furono più lunghi e complessi del previsto, fra gare di appalto, restauri, accertamenti, rifiniture e collaudi; nella primavera 1836 la strada del ponte venne riaperta al traffico di vetture anche se solamente nel 1840 l'ingegner Casarotti poté sottoscrivere il collaudo ufficiale per i lavori conclusi nel tratto di strada interessato dall'attraversamento del ponte.


Già durante i lavori di attuazione del primo progetto, il ponte di Crespano fu meta costante di un turismo locale e straniero; architetti, poeti, giornalisti, semplici visitatori accorrevano per ammirare l'ardito ponte da un unico volto che era uno dei massimi esempi della moderna ingegneria e dell'architettura in territorio veneto. Per questo motivo numerose furono le pubblicazioni che, a partire dagli anni '30 del XIX secolo, citarono il ponte ad un solo arco fra le grandi attrazioni del Trevigiano. Emblematiche di questo clima sono le parole dello scrittore asolano Antonio Pivetta che conclude la trattazione sul ponte in maniera molto enfatica: “Se in altra posizione si ritrovasse ad essere costruito, ed al di sotto avesse un ampio fiume corrente, lo si potrebbe ritenere per l'ottava delle maraviglie che adornavano ed in parte adornano l'Universo”.


La successiva storia del ponte è meno concitata e densa di avvenimenti: passata indenne ai bombardamenti della Prima Guerra Mondiale, l'opera mostrò segni di cedimento negli anni '20, non così gravi però da allarmare il Genio Civile di Treviso. La richiesta di sussidi e sovvenzioni per danni di guerra, a fine anni '40, venne rigettata e si dovette aspettare gli anni '80 per un reale intervento di ristrutturazione e consolidamento. In quest'occasione venne svuotato il riempimento al di sopra dell'arco, lasciando la struttura originale inalterata ed inserendo al suo interno una struttura d'acciaio-calcestruzzo; i carichi dovuti al traffico infatti si scaricavano, grazie a questo intervento, attraverso tre grandi travi in acciaio su 3 mensole in cemento armato, a loro volta ancorate su due grandi blocchi laterali in cemento.


L'aumento del traffico nel tratto stradale del ponte ha reso necessari, in anni più recenti, dei nuovi e più radicali lavori di restauro. Nel marzo 2008 è stato inaugurato il ponte, dopo i necessari lavori di risanamento e restauro che l'avevano visto protagonista nei precedenti tre anni; la soluzione adottata prevedeva il rinforzo delle mensole e dei contrappesi del ponte per mezzo dell’infissione di micropali, la realizzazione di appoggi antisismici, di nuove travi di rinforzo in acciaio corten e di una nuova soletta collaborante.

Angelo Casarotti (1773-1842), originario di Schio, si perfezionò a Vicenza per poi entrare a far parte del Dipartimento Ponti e Strade del Governo Austriaco. Fra le sue opere più celebri ricordiamo la ricostruzione del ponte di Bassano (1819-1821), secondo il porgetto palladiano, la costruzione del ponte di Crespano (1828-1830) e successiva ricostruzione sempre su suo progetto originario (1832-1836). In area veneziana la sua carriera ebbe una battuta d'arresto per l'ingerenza dell'ingegner Pietro Paleocapa. Morì a Venezia il 1° settembre 1842 e venne sepolto nel cimitero dell'isola di San Michele.




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Francesco Aita nacque ad Udine nel dicembre 1795 da Giovanni Paolo Aita e da Teresa Zaina; dopo la separazione dei genitori, venne allevato dal nonno paterno a Buja e seguito dallo zio Domenico Aita, direttore del Demanio, che gli permise una buona istruzione ed un rapido inserimento nell'amministrazione pubblica. La madre si risposò nel 1810 con il conte Antonio Percoto e si ritirò con la nuova famiglia a S.Lorenzo di Soleschiano, lasciando che il primogenito venisse educato ed allevato dagli Aita. Francesco entrò molto presto a far parte della burocrazia diretta dal Governo austriaco e come tale iniziò a frequentare gli ambienti della vecchia aristocrazia veneziana e delle famiglie arricchite grazie alla gestione di numerose proprietà fondiarie. In questo ambiente conobbe Angela Tommasini di Crespano, discendente da una ricca famiglia di commercianti e produttori di pannilana. Dopo poco tempo i due si sposarono (1826) ed iniziarono a dividersi fra Crespano, paese natale di Angela, Udine, dove Francesco era tornato a ricoprire il pubblico impiego, e Venezia dove entrambi gestivano le loro numerose proprietà.
Dopo soli sei anni di matrimonio Francesco rimase vedovo e dovette limitare il proprio raggio di influenza alla Pedemontana; di lì a qualche anno conobbe la veneziana Giuseppina Cetti, vedova di Annibale De Martini, ottima amministratrice di una cospicua eredità. Alla fine Giuseppina e Francesco si sposarono (1844).
Il secondo matrimonio portò ad Aita nuove entrate e possedimenti da gestire; purtroppo anche questo secondo matrimonio si concluse con la morte della moglie (1859). Colpito da questa inaspettata e dolorosa perdita Aita morì nell'aprile del successivo anno, 1860, lasciando in testamento tutti i propri beni per la costruzione di una casa di ricovero per poveri e bisognosi, che sarebbe diventata la base per l'edificazione dell'ospedale civile.

Dal secondo matrimonio della madre, Teresa Zaina, con il conte Antonio Percoto, erano nati 8 figli, fra i quali ricordiamo:
Caterina Percoto (1812-1887) divenne una nota scrittrice in lingua friulana ed un'apprezzata scrittrice di racconti e romanzi brevi. Nel 1871 divenne ispettrice degli educandati veneti.
Nicolò Percoto (1818-1894) sacerdote, parroco a Bigolino, Guia e Pontelongo. Alla morte del fratellastro accettò l'incarico concessogli via testamento, ed andò a dirigere la cappella dell'ospedale di Crespano.




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domenica 15 gennaio 2012


Giuseppe Rossi, crespanese, apparteneva ad una famiglia originaria di Cavaso, trasferitasi nel corso del '700 da Possagno a Crespano. Il nonno Giuseppe, macellaio, era morto in giovane età nel 1834, lasciando la vedova, Paolina Gianese, erede di una cospicua eredità fondiaria che permise alla famiglia di diventare una delle principali ditte imprenditrici dell'area pedemontana. A metà '800 Paolina Gianese e il secondo marito Michele Ruel, fondarono una filanda di seta, dando un importante impulso all'economia locale. Giuseppe Rossi, invece, seguì la passione paterna per le corse di trotto e per il mondo dell'ippica.
Già da ragazzino partecipò alle corse con le padovanelle ed in seguito divenne uno degli invitti campioni di trotto italiani. Il suo debutto ufficiale avvenne nel 1868 a Conegliano Veneto, dove riuscì a strappare la vittoria al padre; nel 1875 si iscrisse come volontario alla Scuola Normale di cavalleria di Pinerolo, ottenendo successivamente il grado di sottotenente al 14°Reggimento Cavalleria. Si recò in America per approfondire gli studi sulle razze equine e i sistemi di addestramento dei trottatori; qui acquistò numerosi trottatori americani che fece importare in Italia, nei propri allevamenti. Fra i cavalli acquistati vanno ricordati i celeberrimi Elwood Medium, Grandmont, Clorinda e Zoe B.
Nel 1882 fondò assieme al senatore Vincenzo Breda, rinomato allevatore, la Società Antenore che per più di un decennio fornì i migliori cavalli da corsa.Contemporaneamente ricevette in eredità dal secondo marito della nonna, Michele Ruel, la filanda di Crespano che tuttavia gestì solo nominalmente, affidandola nella sua completa conduzione al fratello Gaetano.
Nel 1893, su proposta del Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, per i meriti acquisiti in campo ippico, Giuseppe Rossi venne insignito della Croce di Cavaliere della Corona d’Italia. Negli anni successivi si affermò a livello europeo come abile driver, ottenendo straordinari record; a Crespano, nel 1899, fece costruire una pista di allenamento, nella quale si svolsero anche alcune gare ufficiali. Nel settembre 1909 venne eletto sindaco di Crespano Veneto, carica che ricoprì per meno di un anno, perché l’8 giugno 1910, all’ippodromo di Montebello a Trieste, durante una gara, morì cadendo dal sulky; la famiglia, in sua memoria, per eternare la gloriosa carriera ippica, commissionò un monumento funebre allo scultore Giovanni Broggi di Milano, opera che ancor oggi si può ammirare nel cimitero di Crespano.



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Giovanni De Min (1786-1859), pittore bellunese, dopo un breve apprendistato locale venne scoperto come talento ed entrò a far parte dell'entourage di Leopoldo Cicognara, presidente dell'Accademia veneziana. Assieme al più noto Francesco Hayez frequentò l'Accademia di S.Luca a Roma come vincitore di una borsa di studio e venne a contatto diretto con lo scultore Antonio Canova, del quale divenne discepolo prediletto. Tornato in territorio veneto in seguito alla mutata situazione politica, ebbe un periodo di fortuna grazie all'opera di mecenate di monsignor Sartori Canova che lo volle per affrescare le chiese della pedemontana del Grappa: Paderno, Possagno, Pove, San Nazario ed infine Crespano. Qui soggiornò per lunghi periodi di lavoro, accolto dal N.H. Filippo Canal e dalla moglie Antonietta Sartori, nipote del Canova; fra 1851 e 1852 portò a termine un ciclo di affreschi con i 12 apostoli e 24 santi, raffigurati lungo le pareti della parrocchiale, e due grandi affreschi incorniciati nell'area presbiteriale (san Paolo all'Areopago e Moseè e il serpente di bronzo). Nonostante un soggiorno a Milano l'avesse reso famoso in tutto il territorio del Nord Italia, i continui debiti contratti per mantenere la numerosa famiglia lo portarono, nell'ultimo quindicennio di produzione, ad accettare committenze locali e soggetti religiosi che non mettevano in luce la sua capacità di disegnatore e autore di soggetti profani.


De Min si sposò nel 1812 a Roma con una giovane sarta, Camilla Roventi dalla quale ebbe sei figli. La famiglia gli diede sempre molti problemi perchè la professione di affrescatore e pittore non gli permetteva di sostenerla adeguatamente perciò fu spesso costretto a chiedere dei prestiti o ad adattarsi alla prima offerta di lavoro ben remunerata, scegliendo magari dei soggetti o una composizione decisa dalla committenza e poco vcinaai suoi gusti.
Oltre alle due figlie Luigia e Clotilde, De Min e Camilla Roventi ebbero quattro figli maschi: il secondogenito Girolamo (1819-1863), braccio destro del padre in molti lavori pittorici, che non ebbe però grandi opportunità al di fuori degli ambiti vittoriese e bellunese e che abbandonò completamente la pittura dopo la morte del padre. Il primogenito Giuseppe (1816-1901), dopo aver ottenuto grazie al padre il costoso dottorato in Matematica, svolse la professione di ingegnere civile realizzando, fra vari lavori, il progetto per la porta daziaria di Salsa (1856) e quello per piazza Vittorio Emanuele II, subito dopo la fusione fra Ceneda e Serravalle (1866); insegnò inoltre geometria e disegno architettonico presso la Scuola Elementare Superiore di Ceneda. Il terzo figlio di De Min, Vincenzo (1821-1878), che pare abbia affiancato il padre durante il ciclo di affreschi a Pove, non risulta aver proseguito la carriera artistica.




Dei figli dell’architetto Giuseppe ricordiamo Giovanni (1856-1906) che entrò nell’amministrazione delle Ferrovie dello Stato ricoprendo la carica di sottoispettore nella città di Milano; Lorenzo (1866-1938) che fu perito edile e lavorò nella città di Vittorio Veneto; Cesira (1870-1952) che sposò Vittorio Costantini da Conegliano e portò in eredità all’archivio della famiglia molta documentazione riguardante il nonno pittore.
Anche la terza generazione della famiglia si dedicò all’ambito artistico, ma con risultati decisamente migliori nell’ambito architettonico: il pronipote di Giovanni De Min, l’architetto Giuseppe De Min (1890-1962); nato ad Urbino ma trasferitosi presto con la famiglia a Milano, lavorò con lo zio Lorenzo e l’ingegner Angelo Coletti a Vittorio Veneto e fra i suoi primi lavori diresse la costruzione della Cassa di Riparmio a Salsa (1923).
Grazie al cugino Franco Marinotti, noto industriale, entrò negli anni ’20 a far parte del gruppo SNIA Viscosa; per i successivi trent’anni lavorò come architetto di fiducia di Marinotti e venne professionalmente impegnato ovunque vi fossero interessi della Società, esaurendo in questa collaborazione la quasi totalità della sua carriera. Fra i suoi lavori Torviscosa, la città della cellulosa, sorta alla fine degli anni ’30; il progetto per l’autorimessa Traversi in Piazza San Babila a Milano (1936-1938); la ristrutturazione interna di Villa Marinotti a Vittorio Veneto; il piano regolatore per la città di Vittorio Veneto (1939). Sposò la pittrice veneziana Lucia Ponga degli Ancillo (1887-1966), figlia del pittore Giuseppe Ponga.






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