Quando
si prende in considerazione un personaggio celebre si ha la
convinzione che sia stato ormai detto e scritto tutto. In realtà,
avvicinandosi a personaggi del calibro di Antonio Canova, ci si rende
conto che spesso il mito ha avuto la meglio sulla persona e che molto
è stato tralasciato o male interpretato.
Accanto
al Canova sono vissuti molti personaggi, fino ad oggi ritenuti
secondari, che gli hanno permesso di diventare quel celebre artista
che oggi noi tutti conosciamo ed apprezziamo.
Senza
la famiglia, gli affetti, gli amici però a poco sarebbero servite le
sole capacità dello scultore. Canova non aveva un carattere forte,
non era una persona decisa e sicura di sé; ecco, quindi, l'estrema
importanza che ebbero i suoi amici e i suoi collaboratore nello
spronarlo a continuare nel suo percorso artistico.
Ad
iniziare dalla madre, Angela Zardo, molto lontana
dall'immagine della donna snaturata che lo abbandona a soli 4 anni in
casa del nonno per passare a seconde nozze. In realtà Anzoletta fu
una madre affettuosa che mantenne un profondo rapporto con il figlio
attraverso un costante scambio epistolare. E Canova, non potendola avere vicino a sè a Roma, si preoccuperà di farle vivere una serena vecchiaia.
Minette Alavoine
de Bergue, una franco-tedesca bella ed intelligente che incontra
Canova a Firenze ed è quasi sul punto di lasciare un promesso sposo per
convolare a nozze con lo scultore. Canova tergiversa e, a
malincuore, abbandona i progetti matrimoniali. E Minette, come un
personaggio delle fiabe, si adegua ed aspetta paziente
che il promesso marito (un anziano generale
spagnolo) concluda le sue guerre per poterla sposare.
Luigia
Vaccolini Giuli, originaria di Ravenna, fu per 26 anni governante
della casa romana del Canova, troppo preso dalla sua professione per
poter gestire anche l'economia domestica. Pittrice dilettante, abile
amministratrice, intelligente mediatrice fra i collezionisti e lo
scultore stesso, si dimostrerà insostituibile amica, confidente e
quasi una seconda madre. La sua morte, dopo una lunga malattia, farà cadere Canova in una profonda depressione.
Antonio
D'Este, inseparabile amico e collaboratore. Pur avendo buone
capacità come scultore, mise da parte la propria carriera per
sostenere l'amministrazione dello studio canoviano. E, giunto in
tarda età, si dedicherà alla stesura delle Memorie di
Canova, una biografia precisa e completa che mette in luce l'uomo
prima dell'artista. L'opera rimase manoscritta e venne ereditata dal
figlio Giuseppe D'Este e dal pronipote Alessandro Pagliarini (noto
come Alessandro D'Este, dal cognome che assunse in qualità di erede
della famiglia materna). Quest'ultimo convinse a fatica l'editore Le
Monnier di Firenze a portare il prezioso e monumentale
manoscritto fino all'edizione a stampa; purtroppo dai progettati due
volumi fu costretto a dimezzare l'opera. Una grave perdita
considerando che il curatore aveva trascritto in un intero volume le
lettere del Canova gelosamente raccolte dal bisnonno.
Giovanni
Martino De Boni, pittore veneziano, fra i primi compagni del
Canova all'Accademia veneziana, lo seguirà a Roma. Ebbe una vita
lunga ma tormentata, prima a Venezia con una moglie bisbetica -novella
Santippe- ed una figlia malata di tisi dalle quali fuggiva,
quando possibile, con la scusa di viaggi di lavoro. Morte entrambe, compare Martin si trasferì in
pianta stabile a Roma ai primi dell'Ottocento, cercando spesso
l'aiuto economico del Canova. Nei successivi anni vivrà alla sua ombra, attestandosi
come incisore delle celebri opere canoviane.
E
così a seguire possiamo ripercorrere le vicende di altre figure che
sembrano condannate nel dimenticatoio, fagocitate dalla grandezza e
dalla fama del Canova: il maestro e quasi suocero Giovanni Volpato, i
giovani Francesco Vancolani e Giovanni Bianchi che da Bassano tentano
la fortuna a Roma, la sorella Marietta Sartori vittima di un marito
violento che le rovinerà l'esistenza, il cugino Domenico Manera che
da scapestrato e svogliato giovane entrerà a far parte del ristretto
entourage romano.